Disagi

di solito, si scrive quando si sta male.
così ha detto Eugenia, alla presentazione del suo libro.
lei è una bella donna, elegante, brillante, dallo spirito arguto e dalla parlata accattivante. 
fatico a immaginarla mentre sta male, ma so che deve essere - o essere stato - così, in determinati periodi. come per tutti.
devo darle ragione, almeno in buona parte.
quando avverto un disagio, scrivere è il modo più immediato e, al tempo stesso, mediato per riuscire a esprimerlo e, con un po’ di fortuna, a superarlo.
scrivere consente di dare forma a qualcosa che, spesso, nella testa forma non ha.
il disagio è una nebulosa, che abita in te e che di quando in quando si riaffaccia, senza che nulla o quasi lo abbia scatenato. è un malessere dai molteplici aspetti, che ha radici antiche nell’insiddisfazione. 
ha profondità inaspettate, che gli consentono di insinuarsi in angoli reconditi della tua mente e del tuo cuore, ponendo sgradevoli domande a cui non vuoi e non hai ragione di rispondere.
in me, assume la forma dell'inquietudine e dell'incertezza.
è una forma subdola, ingannevole. porta dubbi e domande, toglie la capacità di guardare il mondo con lucidità e distacco.
ciò che è noto diventa improvvisamente sconosciuto, oscuro, quasi incomprensibile e distante.
ma non è lui, distante... sono io.
si vorrebbe saperlo condividere, il disagio. ma ssi comprende, alla fine, che, forse, è meglio di no.
troppo incerte le conseguenze che una sua esternazione potrebbe avere, troppo prevedibile una difficoltà di spiegarsi, troppo esiguo -probabilmente- il beneficio.
il silenzio, o al massimo uno scritto con poco senso, meglio servono allo scopo di placare  la sua urgenza di essere riconosciuto e la mia di lasciarlo allontanare. 

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