pane e marmellata
quando eravamo piccoli, avevamo una casa in montagna, nelle valli sopra bergamo.
posti semplici, poca altitudine, niente di eclatante, ma comodi da raggiungere, piacevoli da frequentare e con molti amici nei dintorni. mio fratello ed io abbiamo passato lì molte delle vacanze della nostra infanzia e uno dei maggiori pregi che ricordo di quei posti è che la loro tranquillità ci ha permesso di guadagnare le nostre prime piccole manifestazioni di indipendenza.
persino andare da soli a fare la spesa, a dieci anni, sembrava avvenimento imperdibile e meraviglioso.
ci davamo appuntamento al negozio con gli altri bambini, ognuno sventolante la lista della spesa compilata dalla mamma. nell'altra mano, il libretto del negozio su cui i titolari annotavano il conto, che veniva poi saldato periodicamente.
i titolari erano una famiglia numerosa, genitori anziani con vari figli e rispettivi coniugi, talvolta anche i nipoti più grandi, tutti impegnati a vario titolo nell'attività.
il negozio era una sorta di piccolo emporio, perché chiamarlo supermercato sarebbe stato eccessivo. frutta, verdura, salumi, prodotti confezionati di prima necessità. e, poi, il pane.
l'emporio, del tutto anonimo e privo di attrattive estetiche, si notava in primo luogo per il profumo che emanava dal forno, una promessa golosa che si faceva sempre più presente man mano che ci si avvicinava.
al banco del pane, uno dei fratelli, il tarcisio.
biondo e mingherlino, occhi celesti e viso buono, nella precedente parte della sua esistenza era stato muratore. quando era di buon umore e non doveva servire altri clienti, gli piaceva vestire i panni dell'affabulatore e teneva noi bambini incollati con i suoi racconti dei cantieri in africa, immagino al seguito di qualche grande impresa di costruzioni che operava da quelle parti.
ma lui in africa era triste, solo e soffriva il caldo e, come spesso accade, non riusciva a dominare la nostalgia per la sua valle e le sue montagne. così, rinunciando a guadagni ben maggiori di quelli che gli avrebbe procurato il negozio di famiglia, era tornato e si era ritagliato la sua nicchia come fornaio.
che io ricordi, il tipo di pane che produceva era uno solo. oggi lo chiameremmo baguette. lui, no: molto più prosaicamente, dal tarcisio si compravano i bastoni. che nulla avevano, peraltro, della legnosità dei bastoni.
erano croccanti e profumati, morbidissimi all'interno e dal gusto irresistibile: non sono mai stata vera fan del pane e marmellata, tranne che in quel periodo.
le merende sul prato con i bastoni del tarcisio e il vasetto di confettura, che a turno portavamo, erano l'evento clou di ogni pomeriggio, insieme alla raccolta di grilli (.... me ne dolgo) in barattoli di vetro, che poi aprivamo per vederli uscire tutti in una volta sola, nella luce del tramonto, prima di tornare a casa.
Splendido quadretto d'infanzia, del quale posso condividere al massimo l'emporio (esistono ancora gli empori?) e la lista con il conto da pagare poi.. mi mancano i prati, i grilli poi.. roba spaziale.. noi che si giocava a pallone già tra un cancello di garage e un altro.. avevamo i vini e olii però, con la spuma ala spina (roba davvero di altri tempi..)
RispondiEliminaLa prossima settimana però, quattro giorni a Bergamo alta.. indirizzi? Soprattutto per cenare da dio? ;)