guerra e pace

ci sono giorni in cui mi fermo a guardarmi e pensare, e riesco anche a essere gentile, se non comprensiva, con me stessa.

guardo chi sono e cosa ho fatto, riconosco che tanto di più poteva essere fatto, certamente anche meglio, ma vedo anche i risultati ottenuti. se non per me, almeno per chi da me dipendeva, in tutto e per tutto.

per me no, il discorso è differente. quel che finora non ho saputo conquistare per me appare sempre più improbabile e lontano.

ma forse occorre anche essere onesti circa le proprie possibilità e capacità. a trenta e quarant'anni si pensa ancora di poter arrivare dove si vuole, semplicemente non arrendendosi, perseverando e 

a cinquant'anni suonati, invece, si capisce che il trucco non è tutto lì e che, se di più non si è avuto o fatto, bisogna serenamente prendere atto dei propri limiti e farsene una ragione.

ci sono altri giorni, invece, in cui tutta questa saggia consapevolezza veleggia molto lontano.

sono i giorni in cui non mi riconosco alcun merito ma riesco ad accollarmi infinite responsabilità (o colpe, per essere molto onesta): per cosa (non) ho fatto o saputo fare, per cosa (non) sono o (non) sono stata capace di diventare, per tutto quel che avrei desiderato e che non è arrivato. e che, certamente, non c'è stato per mia colpa e incapacità.

in quei giorni di guerra, non si vede pace all'orizzonte... nessuna possibilità di perdono o serena presa di coscienza. solo tanto rimpianto e tanta maldisposizione nei miei confronti. che, ovviamente, non risolve nulla.

mi chiedo spesso come sia possibile questo oscillar di sentimenti,  e a cosa sia dovuto. l'età? gli ormoni scarsi e più fluttuanti della giurisprudenza della cassazione? l'inevitabile e sgradita presa di coscienza che di tempo ne è passato tanto, certamente più di quanto me ne rimanga a disposizione? 

per sgomberare il campo da dubbi, non mi lamento per carenza di cose materiali... tutto quel che mi manca e che genera rimpianto (per amore di eufemismo) non si può comprare e questo lo rende ancora più amaro, e fa proprio emergere la sensazione di non averlo meritato e di non essere stata capace.

mi dovrò adeguare, per tante cose è davvero troppo tardi. per cambiare lavoro, per esempio...

avrei voglia di pace, tanta. vorrei riuscire a non svegliarmi più nel mezzo di una guerra che non sarò mai capace di vincere.

ma, per chi nasce ariete, immaginare la vita senza guerra (o almeno senza combattimento) è impresa ardua. suona come una vile resa, come un abbandonar speranze che non voglio abbandonare, perché toglierebbero senso a tutto quel che - si spera- potrebbe ancora venire.

so quali osservazioni mi si possono muovere: non è necessario essere in guerra per conquistare risultati, anzi. ma tant'è.

scritto in un pomeriggio di  luglio, caldo ma non troppo, in un giorno in cui tutto quel che è venuto a mancare sembra avere un peso moltiplicato all'infinito nell'economia della mia vita. 

scritto in un giorno che vorrebbe essere di pace, e invece continua ad essere di guerra, fra molte domande e due sole evidenti risposte.



Commenti

  1. Trovo esaustivi i post dove ci si pone domande e si forniscono anche risposte. Sono post chiusi, dove il commento diventa quasi superfluo a meno che non rilevi il paziente ricamo di chi scrive. Da parte mia sorrido pensando che ai miei cinquanta la pensavo suppergiù come te, e inveve mi si è rivoluzionato il mondo.. ;)

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    1. ciao franco, i commenti non sono mai superflui, ma sempre graditi ;) io darei il mondo, perché mi si rivoluzionasse il mondo, credimi... sarebbe uno scossone motivazionale di tutto rispetto. basta anche meno di una rivoluzione...
      quanto alle mie risposte, avevo in mente le mie figlie, che sono un'ottima evidenza, ma ogni tanto si vorrebbe anche qualcosa che ci riguardi personalmente. a presto, grazie di essere passato.

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