Parlami, ti sento. E mi piace.

tu, che non sei me, l'altra sera verso mezzanotte sei venuta a sederti sul bordo del mio letto, dopo aver accuratamente chiuso la porta della camera che dividiamo quando stiamo al mare.
ti posso parlare un po'? mi hai chiesto. ma era giusto un pro forma, avevi già deciso che avresti parlato comunque, in barba al mio sonno di mamma sveglia dalle 3 del mattino, causa partenza antelucana di tua sorella.
così, ci siamo messe comode, sdraiate una accanto all'altra, con un fascio di luce e di aria che entrava dal balcone socchiuso, e ci siamo apprestate a parlare e ascoltare.
e  hai raccontato: di cose e di persone che non capisci, che non ti piacciono, situazioni a cui non ti rassegni e che non ti spieghi. cose che io, forse, avrei dovuto e potuto intuire, così da non muoverti rimproveri inutili che- sapendo o capendo - avrebbero avuto meno ragione di essere.
ti ho lasciata parlare, perché - credo - quello volevi fare, ancora più che ottenere risposte che non sarebbero servite a molto.
avevi voglia di essere ascoltata e capita, anche senza ricevere alcuna forma particolare di aiuto, che già quello era un aiuto e altri, effettivamente, per fortuna non ne servono.
poi ti sei addormentata tranquilla, e il giorno dopo eri di nuovo tu, serena e affettuosa come sempre.
mi hai ringraziata, con messaggio pieno di cuoricini e annessi, per averti ascoltata e fatta stare meglio... come se questo non facesse parte integrante del mio contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato.
il che, mi fa sorgere il dubbio di non apparire sempre disposta e disponibile...
se così, me ne dispiaccio e me ne assumo la responsabilità: sei tu che hai fatto stare meglio me, non confinandomi al ruolo di cuoca, tata, lavandaia e autista di famiglia.
dimenticavo: anche bancomat e personal shopper...

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