Parlami, non ti sento.

sono un tipo di poche parole.
anzi, non è esattamente vero.
mi piace chiacchierare, mi piace relazionarmi con le persone, non ho alcuna difficoltà a passare tempo con perfetti sconosciuti intrattenendomi con loro come se li conoscessi da sempre, considero  una serata fra pochi intimi (di famiglia o no), immersi in confidenze, ricordi e divagazioni più o meno frivole, come uno dei modi più costruttivi, significativi e piacevoli di impiegare il proprio tempo.
mi piace anche ascoltare... anche cose intime e personali, se qualcuno ritiene di avere motivi per mettermene a parte.
per converso, riconosco di avere difficoltà ad esprimermi su questioni che riguardino me da vicino.
faccio fatica a parlare del mio lavoro, perché non lo amo e non lo ritengo interessante né per me né per gli altri. 
faccio fatica a parlare di me, probabilmente per gli stessi motivi di cui sopra... non mi considero un argomento interessante.
faccio fatica a parlare della persona che amo, e - questa volta- non perché non sia interessante... ma perché ho bisogno di sapere che c'è un terreno dove non tutti possono entrare.
parlo abbastanza delle mie figlie, come ogni banalissima madre italiana. quindi, non conta.
ma allora, alla fine, di cosa parlo? 
di tutto e di niente, mi vien da pensare... tranne in alcuni momenti o situazioni nei quali percepisco una reale vicinanza o sintonia con chi mi ascolta.
allora, sì, riesco ad aprirmi e parlare davvero. e sento che mi fa stare bene e che, magari, fa stare bene anche chi ascolta, perché riesce a capire da che parte sto andando e per quali ragioni.

so che non è così che dovrebbe funzionare, lo so perché mi irrito quando gli altri fanno la stessa cosa con me.
mi irrito, e mi preoccupo, quando vedo che le mie figlie, talvolta, fanno così con me.
quando i dialoghi diventano una mera relazione sui fatti del giorno, senza che la cosa ci coinvolga davvero.
capisco, in questi momenti, lo sguardo di rimprovero di mia madre, quando si  aspetterebbe da me qualche apertura che, invece,  fatica ad arrivare perché ci sono i famosi terreni nei quali non ho voglia di far entrare altri... neppure (o soprattutto...) mia madre.
ho capito, con il tempo, che lo faccio in parte per proteggere me, e in parte per proteggere gli altri da me, dai miei momenti di stanchezza e insoddisfazione che non sono pochi e non devono affliggere o preoccupare il mondo.
ma ho anche capito che, in ogni caso, non va bene: perché una madre, così, si sente meno madre, un compagno meno compagno e un'amica meno amica... 



Commenti

  1. così, a caldo: un'amica capisce. E anche una madre. Forse un compagno meno, ma spesso non se ne accorge neppure ;-)

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    1. credevo anch'io.
      invece, ho motivi di pensare che se ne accorga(no) più spesso di quanto non si creda, ma che eviti(no) di sollecitare aperture che potrebbero risultare difficili o sgradevoli per entrambi. insomma, un pericoloso gioco di equilibri, silenzi e cortesie, che forse andrebbe evitato.

      può valere ...? o non c'entra?

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    2. Parli di me o di te? Se per te, mi fido ovviamente del tuo giudizio. Se per me, credo che, quando il gioco di equilibri, silenzi e cortesie non è in grado di alleviare la sofferenza, allora non sollecitare aperture sia più pericoloso che correre il rischio di dover affrontare qualche difficoltà.
      Chiedo anch'io: è pertinente?

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  2. Ho riletto. Devo ammettere che è vero: un'amica si sente meno amica.

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