una cura per la cura

sono una persona che si cura degli altri.

nel senso che me ne occupo e me ne preoccupo. troppo, in entrambi i casi, ma è la mia natura.

sono nata donna del fare, mi sento bene se so che ho fatto qualcosa per far star bene - o, almeno - meglio gli altri a cui tengo.

non tanto se dico qualcosa, ma se lo faccio. e non perché non sappia usare le parole... su quello credo di cavarmela discretamente: mi hanno sempre detto che parlo e scrivo in un italiano corretto e semplice, comprensibile ai più, sempre che abbiano voglia di comprendere. magari, mi hanno mentito.

forse non riesco a esprimermi in modo  particolarmente empatico, probabilmente neppure simpatico, sono piuttosto diretta e amo chiamare le cose con il loro nome.

tanto per capirci, un cancro è un cancro, non "un brutto male", il ragazzino di mia figlia è il ragazzino di mia figlia, non "una simpatia" (come si ostina a dire mia madre, tentando di parare il contraccolpo emotivo della faccenda)

comprendo che questo per alcuni costituisca un limite enorme e capisco anche che possa essere un difetto altrettanto enorme: è un attimo essere scambiate per persone grette o dalla visione limitata o superficiali, o per intruse, o anche per il boy scout che vuole ad ogni costo far attraversare la vecchietta.

e non è che io non attribuisca valore alle parole... se così fosse, neppure scriverei qui.

è solo che quando hanno distribuito la capacità di accettazione, io non ero evidentemente in fila. e questo mi porta ad avere carichi di preoccupazione certamente eccessivi, se non posso prendermi cura di chi amo nel modo e nella misura che vorrei, ottenendo gli effetti che ritengo giusti.

ed è che, se ho bisogno di fare qualcosa per gli altri, forse è  anche perché avrei desiderio che qualcuno, talvolta, volesse o potesse fare qualcosa con me o per me. non dire, fare. capire cosa ho dentro e agire - non parlare - di conseguenza.

non sempre si può, e non ne faccio colpa a nessuno; talvolta, invece, non si ha voglia, perché  è meglio quieta non movere. e qui, per me, si apre un problema.

sentirmi dire parole che, per quanto sensate, empatiche, educate e circostanziate, costituiscono di fatto un ennesimo "no", in qualunque ambito, o che comunque non portano a niente, inizia ad essere un po' troppo.

succede perché non sono abbastanza? o perché sono inadeguata o inopportuna? o perché sono "troppo"(come mi è stato detto talvolta da qualcuno che riteneva di aver trovato una via di fuga elegante, non capendo che è più meschina delle altre)?

se questo è ciò che accade, non mi resta che sfilarmi, fare passi indietro e risolvermi a capire che, se voglio farne in avanti, sarò sempre e comunque da sola.

per la mia cura, non pare esserci cura. per tanto altro, forse, non c'è posto.

e la mia indipendenza, che tanti rassicura e fa sentire in pace, inizia pericolosamente a sembrarmi sempre più simile a solitudine.


Commenti

  1. Fare qualcosa per te? Ma come? tu sei forte e non hai bisogno di niente.
    Esatto?
    Ed è cosi che nascono le leggende: storie che tutti sanno essere farlocchissime ma alle quali piace tanto credere per poi lavarsene con noncuranza le mani.
    Donna del fare, circondata da gente del dire: brutta combinazione.

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    1. Decisamente pragmatico, per essere il commento di un’idealista.

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