improbabili citazioni


la mia indipendenza, 
che è la mia forza,
implica solitudine,
che è la mia debolezza.
(p.p. pasolini)

perché la vita è un brivido
che vola via,
è tutta un equilibrio sopra la follia.
(v.  rossi)


 
 ero piccola, circa due anni o forse meno. dormivo ancora pochissimo, mi svegliavo continuamente di notte e volevo leggere.
mia mamma doveva mettermi nel seggiolone, con un libro davanti; non volevo qualcuno che mi raccontasse una storia o la leggesse per me, dovevo fare da sola
quando, questione di minuti, la testa mi cadeva in avanti e crollavo sul libro aperto, mia mamma tentava di raccogliermi e di rimettermi a nanna.
niente. mi risvegliavo e ricominciavo a strillare che volevo stare nel seggiolone a leggere.

ero meno piccola, facciamo circa sei anni, e volevo imparare ad andare in bici senza rotelle.
mio padre si era assunto il gravoso compito di seguirmi in questa impresa.
ma io non volevo... dovevo fare da sola, cadendo e massacrandomi le gambe, perché mi infastidiva terribilmente che lui mi reggesse per il portapacchi della bici, tentando di corrermi dietro mentre provavo ad andare.

ero un'adolescente timida e abbastanza riservata, con poche amicizie forti e selezionate, e le idee chiare: se la compagnia non mi piaceva, non avevo difficoltà a rimanere da sola.
questo valeva tanto per le compagnie femminili quanto  per quelle maschili.

non lo facevo per un inesistente senso di superiorità (anzi... forse, piuttosto il contrario), semplicemente perché la compagnia di persone poco interessanti o prive di punti affinità con me mi pareva una totale perdita di tempo, che avrei potuto impiegare in modo molto più soddisfacente facendo altro. da sola.
so per certo che questo atteggiamento mi ha resa poco popolare fra i miei coetanei e mi è forse costato, in quegli anni, una vita "sentimentale" affollata come il deserto del Gobi. ma, anche qui, non me ne crucciavo. mi sembrava infinitamente più importante e soddisfacente riuscire a fare quel che desideravo, per quanto da sola, piuttosto che dover scendere a compromessi con qualcun altro, che magari mi avrebbe frenata o dissuasa dai miei propositi o - nella migliore delle ipotesi, ai miei occhi - avrebbe rallentato il mio cammino.

non dovevo andare in nessun posto particolare, ora che ci penso... non avevo destinazioni tali per cui l'essere da sola costituisse una condizione necessaria per il loro raggiungimento.
ma volevo farcela da sola.

ovviamente, gli anni, il lavoro, una parvenza di tardiva saggezza o quel che volete mi hanno resa meno rigida, come accade per tutti o quasi. 
ma poi, ancora, e questa volta senza che lo chiedessi o dipendesse da me, mi sono trovata  a dover gestire in assoluta autonomia (diciamo così)  tutta la mia vita, e non solo la mia.
questa volta ero meno preparata, ma - anche qui - ho interpretato la cosa come un segnale: devo fare da sola, che mi piaccia o no, questa volta.
ci ho ripensato tante volte, per tante notti non ho dormito, e so che ancora non ci dormirò.
perché non sono tornata a casa? ci sono state tante ragioni, ma una - lo so - era questa: la cosa che più avrei voluto, che ancora più desidero con tutta me stessa, fatta in quella circostanza mi sarebbe sembrata una sconfitta: torno a casa perché da sola non ce la faccio.
e sono rimasta.
e la mia indipendenza mi è costata anni di solitudine, di pianti notturni ed esplosioni di rabbia diurne, di assoluta e irrimediabile non appartenenza, di totale consapevolezza di essere in una vita sbagliata.
but, nevertheless, she persisted.

dove sta, in tutto questo, l'equilibrio sopra la follia? una vita tesa alla ricerca dell'indipendenza può valere il ritrovarsi con un brivido che vola via? 

Commenti

  1. Dissento, e lo sai: non "torno a casa perché da sola non ce la faccio", ma "torno a casa perché preferisco".
    Fare una cosa che non ti piace solo per dimostrartene capace è, nella migliore delle ipotesi, una fesseria.
    Fidati, sono ingegnere per la stessa ragione.

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  2. il senso del post non era esattamente questo, ma va bene, possiamo anche spostarlo su questo piano.
    "faccio qualcosa perché preferisco" è un meraviglioso stile di vita, ma temo che tu ometta un dettaglio abissale: fa tanto mondo rosa e richiede condizioni favorevoli di cui pochi eletti godono.
    tu sei ingegnere per far contento qualcuno, ma quando hai deciso che non ne avevi più voglia, hai potuto tranquillamente smettere. non tutti hanno la stessa fortuna.
    il mio tempo per preferire non era allora, e non è ancora.

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  3. Il tempo per preferire era forse più allora che ora, ne abbiamo parlato tanto e sai come la penso quindi è inutile proseguire il discorso.
    Ma hai ragione: il post parlava di altro.
    Vale la pena vivere, chiedi, vivere indipendentemente considerando il prezzo che si deve pagare? Sì, se consideri il prezzo che dovresti pagare non facendolo.

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