lezioni di...

pazienza: grande assente nel mio personale bagaglio, ingrediente necessario per imparare qualunque altra cosa. il post potrebbe già finire qui, ma ignorerò il problema - come faccio ogni giorno - e vado avanti.

vita, tanto per iniziare: ho capito che gli anni che passano non sono, di per sé, una scuola sufficiente per ritenere di aver imparato abbastanza.

ci son cose che non imparerò mai, perché non le capisco; ci sono cose che mi rifiuterò sempre di imparare, pur cogliendone i meccanismi, perché collocate su pianeti diversi dal mio. ce ne sono, poi, altre che avrei preferito non imparare: posso solo sperare di dimenticare, per quanto possibile.

sostanzialmente, più di cinquant'anni e un mare di lacune incolmate e incolmabili. di alcune, però, vado anche fiera, quindi compensano parzialmente lo sfacelo.

cucina: la soddisfazione di cucinare un intero favoloso menu, come nei film francesi che guardo quando proprio sto sotto terra... ma non ci sono tutti i commensali che vorrei, e non amo fare le cose a metà.

disegno: non ho mai provato la gioia di guardare un mio disegno e pensare "è proprio come quello che avevo in mente"; la mano rifiuta di seguire l'occhio e la mente, i miei tratti sono ancora gli stessi di quando avevo cinque anni.

flamenco: un'amica mi disse, anni fa, di aver provato anche questo, a scopo terapeutico, dopo essere stata lasciata in modo grottesco da un fidanzato subumano; ma gli uomini scarseggiavano nel corso, così si è trovata a ballare con una signora anziana e ha perso tutta la poesia e la passionalità. ecco, mi mancherebbe solo questo.

yoga: già meglio del flamenco. riuscire a tenere una posizione che mai avrei pensato di poter anche solo provare, mi rende (moderatamente) fiera di me e fiduciosa che qualcosa ancora io possa imparare.

ottimismo: intanto che scrivo, leggo che a kiev si preparano a distribuire pastiglie di iodio alla popolazione, in caso di radiazioni. vorrei lasciare alle mie figlie un luogo sicuro in cui vivere, ma ora come ora non mi sento in grado neppure di pensarlo.

recitazione: quando ero piccola, non volevo mai partecipare alle recite scolastiche. impersonare qualcun altro mi pareva privo di senso... io ero io, perché dovevo sembrare qualcun altro? non ho mai neppure troppo amato travestirmi per carnevale, sempre per lo stesso motivo. sostanzialmente, non ho cambiato idea: ho evidentemente un problema di rigidità mai superato. imparare a recitare potrebbe essere utile, ancor prima che divertente: apparire altro da quel che in realtà si è potrebbe fornire una potente protezione dalle finzioni altrui. o, almeno, ripagherebbe con la stessa moneta.

Commenti

  1. Flamenco, bellissima idea! Anni fa, oddio quanti, avevo provato coi latino-americani e mi ero divertita da matti. Quanto alla presenza maschile, mi sa che gli uomini sono troppo noiosi. (Però al Salsa y Merengue ce n'erano parecchi :-))
    Recitazione, altra bellissima idea! Non condivido, però, la tua equazione recitazione=finzione: recitando si dà vita a personaggi, ma non si fa finta di essere loro... credo che sia piuttosto una trasfigurazione, un temporaneo e deliberato cambiamento di personalità. Chi recita non fa finta di essere il suo personaggio, lo diventa. Bello, davvero bello!

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    1. confermo, a questo punto, di avere un evidente problema di rigidità, ma tra finzione e trasfigurazione non colgo sostanziali sfumature... sempre qualcun altro finisci per sembrare. perché, quanto ad essere, io so e voglio essere solo me. e sembrare qualcun altro, al momento, mi pare possibile solo come strumento di autodifesa.

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    2. Resta una cosa bellissima (oltre che talvolta terapeutica...)

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  2. bentornata, valeria!
    il disegno mi piacerebbe molto, credo. ma sono davvero terribile... al massimo nasconderò tutto e farò finta di niente! buona giornata, a presto

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